“Non chiamateli rami secchi!” – Dossier sullo stato della rete secondaria

Sono oltre mille e seicento i chilometri di linee ferroviarie non più in funzione in Italia dall’inizio del nuovo secolo!

In tutta Italia sono avvenute cancellazioni di linee per 1.332 km e 427 stazioni ed il servizio è sospeso in altri 356 km complessivamente.

Ad oggi sono in funzione poco meno di 19.400 km di linee ferroviarie mentre erano 23.200 nel 1942 (momento di massima estensione della rete) con una contrazione del 16,4%. Al contrario dal 1950 ad oggi i chilometri di autostrade sono aumentati di 6.500 km (da 479 a 6.900 Km) e quelli di strade statali e provinciali sono passati da 63.183 a 166.200. 

Eppure i dati sono chiarissimi, persino negli ultimi anni si sono continuati a tagliare collegamenti lasciando senza alternative tante persone. La ragione è nota e ribadita in tutte le occasioni: sono tratte oramai poco frequentate, in aree interne e territori marginali, i costi di gestione sono eccessivi, tanto vale chiuderle e sostituire i treni con qualche pullman. Ma è proprio vero che sia così, oppure è un modo per concentrare le attenzioni sulle linee “ricche” e magari rendere felice chi gestisce i collegamenti in pullman?

Dossierlineearischio

https://video.repubblica.it/cronaca/binari-abbandonati-cosi-l-italia-taglia-le-ferrovie-la-videoscheda/311072/311707

 

2 pensieri riguardo ““Non chiamateli rami secchi!” – Dossier sullo stato della rete secondaria

  • 1 Settembre 2018 in 20:30
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    Premettiamo che un ramo nasce verde e secca solamente allorquando la pianta è curata male. Fuor di metafora, una classe politica imbelle, debole, avvezza più all’uso dell’autovettura o con forti sospetti di connivenza con il mondo della gomma, che rappresenta un serbatoio elettorale ed una fonte di forti soggezioni all’esercizio del potere democraticamente conferito (si pensi, ad esempio, ad una nota industria automobilistica a Torino) ha fatto sì che, in circa trent’anni, si fosse distrutta la quasi totalità degli scali merci, a cominciare da quelli posti nelle piccole stazioni, ma abbiamo financo Capoluoghi di Provincia che non hanno la possibilità di ricevere o di inviare merci, il che ha comportato il solcare le nostre strade da parte di una pletora di autocarri: non è raro vedere autentiche carovane di questi mezzi che coprono tratte anche internazionali. Inoltre, la rete ha visto la colpevole amputazione di deviatoi e binari, trasformando molte stazioni su linee a binario singolo in semplici fermate, senza possibilità di effettuare incroci tra treni marcianti in sensi diversi e precedenze di treni veloci su quelli lenti, ingessando la circolazione e costringendo ad un esercizio con orari spesso improponibili per l’utenza. A tutto questo, si aggiunga la deliberata mancanza di programmazione delle coincidenze: il treno successivo parte allo stesso orario quando non con qualche minuto in anticipo rispetto all’arrivo del precedente, costringendo il viaggiatore ad attendere magari anche un paio d’ore. La dissennata regionalizzazione del 2001 ha poi assestato il colpo di grazia, poiché ognuno programma nel proprio orticello, incurante dell’esistenza della mobilità sovraregionale o, all’interno della stessa Regione, della necessità dei viaggiatori di spostarsi su distanze anche più lunghe e quindi, non sono disposti a sobbarcarsi viaggi interminabili solo perché sono disponibili unicamente treni locali con fermate in tutte le stazioni. Non si deve nemmeno trascurare l’infamia di avere istituito un mercato nei servizi a lunga percorrenza, dove le tariffe sono variabili secondo chissà quali astruse logiche, dove esistono interessi economici privati (NTV) assolutamente fuori luogo, trattandosi di servizi pubblici essenziali ad alta rilevanza sociale e dove la qualità del materiale rotabile, specie sul fronte degli allestimenti interni è fortemente decaduta rispetto alle migliori vetture od elettrotreni progettati dagli Ingegneri delle Ferrovie dello Stato.
    La ferrovia è paragonabile all’apparato circolatorio umano: nella rete arterovenosa, abbiamo Aorta e rami principali, grossi vasi, vasi di piccolo calibro, rami terminali e capillari, circoli collaterali ed interrompere per breve tempo uno o più vasi, può causare danni molto seri derivanti dall’ischemia; se il blocco fosse protratto a lungo, si avrebbe la perdita definitiva di organi e tessuti vitali, mentre, nella rete ferroviaria, parallelamente, abbiamo linee ad alta velocità, linee di grande comunicazione, linee complementari, scali e raccordi, itinerari alternativi; interrompere una o più linee, anche temporaneamente ed in punti singolari, può causare notevoli disagi; se il blocco fosse protratto a lungo, si avrebbe la depressione e lo spopolamento di un’area anche molto estesa.

    Occorre eliminare quanto prima dal trasporto, ma anche da ogni altro servizio pubblico essenziale ad alta rilevanza sociale, come, a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, Sanità, Acqua potabile, Istruzione, Energia, Poste e Telecomunicazioni, ogni interesse privato ed ogni logica aziendale, mettendo il tutto in gestione diretta da parte della Pubblica Amministrazione, che ha l’obbligo, almeno morale, di erogare questi servizi a tariffe eque alla popolazione: non è ammissibile che dietro allo spostamento di persone e merci o ad una telefonata vi sia un reddito a vantaggio di una società di capitali!
    Auspichiamo che i recenti fatti di Genova aiutino le Autorità a meditare su quanto possa essere pericoloso oltre che antiecologico il trasporto stradale e non si facciano corrompere da quanti ne abbiano cointeressenze.

  • 6 Febbraio 2019 in 14:00
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    Una tratta ferroviaria se mantiene il vantaggio di contenere, a parità di fermate, un servizio pubblico più veloce di uno sostitutivo effettuato con l’autobus, la linea ferroviaria non è da considerare assolutamente ramo secco, anzi in questo caso è l’autobus che dovrà essere ri-sostituito!
    Quindi consiglio una legge che applica questa semplice regola.

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